Nella ricerca di Melchiorre Napolitano si evince una volontà evocativa, che sembra assumersi la responsabilità di una forma informe tendente tuttavia a ritrovare una sua riconoscibilità. Egli si situa ancora nell’ambito dell’astrazione, ma senza farsi coinvolgere dalle inquietudini tipiche dello sperimentalismo, e recuperando atmosfere calibrate che portano a realizzazione compiuta il richiamo di un paesaggio mentale, dove la qualità esemplare di una reinvenzione del tutto soggettiva, crea illusioni spaziali elaborate attraverso un’espressività intelligente e consapevole.
I dipinti di Napolitano hanno la qualità di una materia in continuo sviluppo, che si illumina e si spegne in cromie variegate, creando assembramenti magmatici di assoluta dinamicità. La ricerca di questo artista è funzionale a dare risposte ai quesiti sullo stato attuale della pittura, e su cosa può ancora essere trasmesso della percezione soggettiva nei riguardi del colore e delle atmosfere psicologiche. Una risposta possibile sta quindi proprio in questo fluire astratto e potente delle immagini, che non appartengono a una visionarietà onirica, ma tutt’al più a un’inquietudine ben palpabile e leggibile in una scrittura sottile di orizzonti e colline composte da passaggi cromatici, che spesso si dispongono a dialogare con un cielo perturbante.
Napolitano è un’artista che sa identificare la bellezza e trasmutarla in una materia pittorica che concede all’osservatore il privilegio della riconoscibilità. I suoi lavori si allineano su una continuità stilistica preordinata e del tutto personale, in quanto si pone nell’ottica di una rivisitazione di un reale non direttamente captabile, ma solo percepibile nella trasfigurazione della sua essenza materiale. In questi lavori sono le motivazioni del profondo ad agire sulla forza propulsiva di un gesto pittorico e di una costruzione plastica volutamente antiretorica, dove i pieni e i vuoti animano la materia cromatica che di volta in volta precisa la sua consistenza raggrumandosi su anfratti pietrosi, o distendendosi in un movimento più leggero, come se volesse ripiegarsi in se stessa. Napolitano sembra volere allestire una scenografia non decorativa e piuttosto tormentata, sulla cui concretezza l’osservatore non può appoggiarsi con certezza.
Seguendo la lezione degli informali, che si sono imposti negli anni Cinquanta del secolo passato, e che fanno evidentemente parte del suo museo interiore, Napolitano appare cosciente del fatto che il gesto pittorico non è solo una risposta alla necessità di distendere sulla tela una serie variegata di colori, ma è anche un modo di narrare le proprie esperienze visive o, se si preferisce, le vicende che costituiscono la parte più significativa del proprio agire nel quotidiano, per tradurle in una trasfigurazione astratta, ma fedele alla sua realtà interiore. Perciò l’artista non cancella il riconoscibile, ma sceglie di partecipare con il gesto pittorico all’azione teatrale dell’ambiente che lo circonda.
In ogni sua opera viene attuato un gioco seduttivo di ricognizione del paesaggio, che si avvale di stesure sapienti, di linee sinuose o dirompenti, di effetti compositivi e di atmosfere che raccontano il fluire delle stagioni. Qui lo scorrere della materia cromatica è una sorta di scrittura non immediatamente decodificabile; essa infatti esige un’osservazione e un approfondimento che superino l’effetto del primo colpo d’occhio, il quale resta pur sempre accattivante e tutt’altro che illusorio, in quanto esercizio stilistico esemplare che rimette in discussione i luoghi comuni della raffigurazione.