L’informale di Napolitano è causa-effetto di uno sguardo originale verso la realtà. È un viaggio alla riscoperta di altro. Un’arte libera da regole, lontana da formalismi e in cui l’espressione “astratto” è riferibile sia alla soluzione stilistica sia alla resa del “vero”. Ci possono venire in mente le vedute marine di J.M.William Turner, anche se, differentemente dal grande romantico, le opere del nostro autore mantengono una certa nitidezza di segno, anche nel riprodurre ipotetici cieli e nuvole. E poi i lavori di Jean Fautrier, soprattutto quelli degli anni ’40, con le sue rotture definitive con le forme e le tecniche di stampo tradizionale. Di Fautrier viene messo da parte, invece, l’uso di una materia piena, in continua crescita. Guardando le opere dell’artista palermitano sembra di girare attorno a qualche cosa che il nostro occhio cerca di focalizzare. La sensazione è simile a quella provocata dall’osservazione attenta e puntigliosa di una zona definita mentre si sta sorvolando un territorio: è come se da una virtuale veduta aerea si zoomasse un particolare. Ed ecco che entra in gioco l’urbanistica, la componente architettonica, che Napolitano, architetto, preserva nella relazione percezione-ambiente. Nei dipinti si attua la sintesi di questa percezione visiva. Le forme, che occupano spazi specificatamente indicati, affinché risulti chiaro il riferimento alla natura, si destreggiano tra cromatismi, tracce di orizzonti -mai astrazione espressionista alla Rothko- e rese materiche. Un risultato simile si può ottenere tramite computer nella riproduzione digitalizzata di componenti, infinitamente piccoli o immensamente grandi, della natura, attraverso il ritmo frattalico.

“Il caos ha creato speciali tecniche per l’uso del computer e speciali tipi di immagini grafiche, figure le quali colgono una struttura fantastica e delicata che sta alla base della complessità”, questo pensiero di James Gleick ci aiuta a cogliere l’aspetto frattalico dell’artista. In Melchiorre Napolitano il frattale è intuitivo e legato più alla sensibilità che alla logica. Le sue “geographie” sono al di là di longitudini e latitudini; i gradi presi in considerazione sono quelli relativi all’emozionalità dell’individuo. Ed è proprio grazie alla componente “umana” che nei dipinti si possono riscontrare una sorta di forme “fragili”. La fragilità non è data dall’inconsistenza materica o da un difetto di definizione ma, al contrario, da una ricchezza di elementi unici che, nella costante messa in relazione, creano disordini ordinati. Quella di Napolitano è un’estetica dinamica. A questo proposito risulta interessante un giudizio del fisico Gert Eilenberger: “Il nostro senso della bellezza è ispirato dalla combinazione armonica di ordine e disordine quale si presenta negli oggetti naturali: nuvole, alberi, catene di montagne o cristalli di neve. Le forme di tutti questi oggetti sono processi dinamici consolidati in forme fisiche, e particolari combinazioni di ordine e disordine sono tipiche di tali forme”.

Apparenti confusioni oggettive sono controbilanciate da vettori di sfumature-pennellate. Come soffiasse il vento, tutti gli elementi del quadro seguono medesimi ritmi e direzioni. I piani giocano tra loro. Si produce così uno “sfondato” nell’astrazione: l’apertura simulata al di là del primo piano (parete) crea prospettive di atmosfere o stratificazioni di materia. Le formule-quadri hanno una forte carica immaginativa. Si tratta, a volte, di una riproposta di forme gestuali pur sempre singolari nella loro non-ripetitività, che dona alle immagini un “progresso” incontestabile della matericità. In questo contesto, la luminosità crea una particolare sonorità espressiva. La luce produce, inoltre, delle velate linee di demarcazione fra i vari soggetti. I modelli delle cose dipinte sembrano scie di un flash ottico arrivato -e passato- velocemente dalla memoria. Nulla è riflesso e tutti gli elementi sembrano privi di gravità. Tuttavia, l’artista, se vuol rendere la tensione gravitazionale, appesantisce la zona-base con maggiore matericità o con colori più definiti. Comunque, queste “famiglie” di forme sono organizzate e ambientalmente definite. In questo territorio, la percezione s’impossessa del colore. Un colore di senso goethiano: “Con un delicato gioco di pesi e contrappesi, la natura oscilla in questo o quel senso e sorge così un di qua e un di là, un sopra e un sotto, un prima e un dopo, dai quali sono condizionate tutte le manifestazioni che si presentano nello spazio e nel tempo”.
In questa omogeneità dell’illusione il piacere estetico è assicurato.

Ma facciamo un passo indietro nel tempo... I marmi raffigurati nel Rinascimento (splendidi quelli riprodotti nel “Ultima cena” di Leonardo da Vinci o quelli più decorativi del Settecento, tra tutti si considerino le architetture di Giambattista Tiepolo) sembrano anticipare alcune astrazioni e quindi anche alcuni particolari di Napolitano. Certo, azzardare una connessione, se pur solamente ottica, tra alcuni particolari architettonici di Leonardo e opere di Fautrier non è poca cosa, ma è proprio in questi viaggi che si ritrovano le matrici dell’artista siciliano. Inoltre, i suoi lavori possono, a tratti, sembrare sintesi di paesaggi ottocenteschi, sopratutto di italiani della metà dell’Ottocento, come Beniamino De Francesco o Raffaello Sernesi, ai quali sia stata applicata “l’arte del togliere”. E poi da Paul Cézanne, la sua montagna Sainte-Victoire o i paesaggi rocciosi, si può giungere al ricordo della semplicità delle forme dello svizzero Ferdinand Hodler. I rimandi della memoria possono così districarsi tra i fili del gomitolo della storia dell’arte, che l’autore ha attraversato durante la sua ricerca artistica. In essa, disegno e senso del volume, espressione dell’animo (realtà soggettiva) e di ciò che si vede (realtà oggettiva), nitidezza e sensibilità, hanno trovato un equilibrio compositivo all’insegna dell’armonia, anche.